Lunedì 19 giugno 2017
Come sta cambiando il modo di abitare tra innovazione e sostenibilità, tra efficienza e bellezza? Lo racconterà a REbuild Alfonso Femia, architetto co-fondatore dello studio "5+1", illustrando alcuni dei suoi progetti e delle sue opere più recenti che mettono al centro il Mediterraneo, la città contemporanea, il dialogo con la materia, il patrimonio esistente come luogo dell’invenzione e dell’innovazione.
“La nostra idea di architettura è di nutrire il reale con l’immaginario, di praticare il reale rispondendo alle esigenze e alle richieste, ma conferendo al progetto una visione, un ruolo, un racconto capace di costruire mondi anche differenti. In questo modo vogliamo prendere posizione da mode o clichè figlie del tempo e riaffermare una architettura che ovviamente deve essere sostenibile senza che questo diventi il leit-motif che giustifichi tutto, anche ciò che invece va dichiarato come insostenibile e/o che distoglie dai veri valori dell’architettura e del progetto che devono prioritariamente costruire “felicità”.
Attenzione normativa, progettuale, tecnologica, deprimono la creatività, insinuano un nuovo modo di pensare e dunque di progettare l’edificio che rischia di sacrificare la bellezza all’efficienza.
“L’esasperazione e la reiterazione degli stessi input porta ad avere “prodotti confezionati”.
In fase di progetto preliminare o concept ,come in maniera orribile viene definita l’idea fondativa, il progetto viene sostituito dal “già codificato” che prelude a una “pseudo prefabbricazione di pensiero energetico e/o funzionale”. E nella trama ripetitiva dell’edificio, delle consuetudine, delle norme, delle regole, si perde l’invenzione spaziale, architettonica, urbana, poetica.
Nel momento attuale, quasi di accanimento sui temi energetici che segue a un lungo periodo di noncuranza e costruire “disinvolto”, il rischio è quello di passare dall’estremo di edifici energivori all’altro, di edifici ripetitivi senza anima ne corpo”
La visione d’insieme è oggi per Femia più che mai necessaria, come lo è la collaborazione tra tutti i soggetti della filiera. “Occorre costantemente mettere in atto un percorso dialettico tra tutto ciò che nutre il progetto durante il suo percorso e gli attori principali del processo, che hanno linguaggi diversi ma devono operare per l’unità del progetto. È responsabilità dell’architetto farsi carico di questa azione, è responsabilità della filiera di mettersi in gioco attraverso il progetto. È responsabilità di tutti volgere lo sguardo al percorso e alle sue profondità e non solo alla superficie del risultato. Il progetto deve, responsabilmente, saper costruire “felicità”.